mercoledì, maggio 04, 2005

IX. Stocastica-mente o deterministica-mente? Sul libero arbitrio.

Mi stavo domandando tempo fa: “Cosa è il libero arbitrio?”; e poi: “Ma il libero arbitrio, stando alla definizione che il senso comune ne da, esiste?”. Allora, mi sono messo a pensare…
Per libero arbitrio si intende comunemente la capacità/possibilità di scelta tra più alternative, indipendentemente dalle condizioni di partenza. Quindi, l'arbitrio si intende "libero" dalle concatenazioni di causa ed effetto che costituiscono le condizioni di partenza.
Il libero arbitrio si manifesta, nel processo decisionale, nel momento in cui, dovendo compiere una scelta fra più alternative, è presente la coscienza/convinzione che, pur effettuata la scelta per una delle alternative, era tuttavia possibile scegliere diversamente.
Ora, analizzando l'atto della scelta, è possibile descriverne il processo: si assume una funzione obbiettivo che il soggetto vuole massimizzare, prevedendo (stimando) le conseguenze prodotte dalle proprie azioni, egli sceglie per l'azione la conseguenza della quale massimizza la funzione obbiettivo. Formalizzando, si ha:
· Ob = F(x), funzione obbiettivo da massimizzare;
· A = [a1; a2; ...; ai; ...; an
], vettore delle azioni, a cui è univocamente associato:
· P = [x1
; x2; ...; xi; ...; xn
], vettore delle conseguenze;
· ai tale che Ob(xi
) = max, scelta effettuata.
Quindi, è possibile dire che, data la funzione obbiettivo da massimizzare, la conoscenza della conseguenza massimizzante costituisce il "motivo" per cui si è scelta l'azione che genera proprio quella conseguenza. Ancora formalizzando, si ha:
· C[Ob = max se, e solo se x := xi
], causa della scelta;
· E[a := ai
], effetto (cioè, la specifica scelta).
Al che, il soggetto che compie la scelta può asserire che, in virtù del suo libero arbitrio, avrebbe alternativamente potuto selezionare una azione diversa e, specificamente, una che non massimizzava la sua funzione obbiettivo. Formalmente:
· aj
tale che Ob(xj
) ≠ max.
Questo è logicamente possibile (ammissibile), ma non deriva dalla presenza del libero arbitrio. Se si analizza logicamente una simile scelta emerge, infatti, che l'azione non massimizzante la funzione obbiettivo in questione può configurarsi come massimizzante una diversa funzione obbiettivo. In simboli:
· aj
tale che Ob(xj
) = max, nuova formalizzazione dell’azione come massimizzante una funzione obbiettivo;
· Ob = g(x), nuova funzione obbiettivo;
· g(x) ≠ f(x).
Questo è rilevante in quanto la nuova funzione obbiettivo può definire (e, di fatto, è proprio quello che accade quando si analizza il problema del libero arbitrio; cioè quando si sostiene o meno la sua esistenza) il suo punto di massimo in questo modo: "massima quando la prima funzione obbiettivo - f(x) - è non massima". Cioè:
· g(x) = max se, e solo se f(x) ≠ max.
Una funzione obbiettivo di questo secondo tipo può, quindi, agevolmente spiegare il processo decisionale che porta alla scelta di una azione diversa da quella massimizzante la prima funzione obbiettivo, nel caso in cui il nuovo obbiettivo (quello sintetizzato dalla seconda funzione) sia quello di sostenere la possibilità del libero arbitrio.
Si consideri il caso generale: il soggetto che fronteggia una serie di alternative di scelta, seleziona l'azione che massimizza la funzione obbiettivo, e dice a se stesso «Avrei potuto scegliere di selezionare un'altra azione, anche se non massimizzante la mia funzione obbiettivo», il che, tuttavia, deve essere completato da «se solo avessi voluto», in quest'ultima asserzione è nascosta la soluzione dell'errore.
Quel "se solo avessi voluto", infatti, equivale a dire "se solo avessi voluto massimizzare una diversa funzione obbiettivo" e, poiché il motivo di una scelta, come detto in precedenza, è la conoscenza della conseguenza massimizzante, la possibilità di una scelta non massimizzante la prima funzione obbiettivo non è dovuta alla facoltà di libero arbitrio, ma alla conoscenza di una conseguenza massimizzante la nuova funzione obbiettivo.
A questo punto, si potrebbe affermare che il soggetto sceglie "liberamente" quale funzione obbiettivo massimizzare, manifestandosi in questo il libero arbitrio. Il punto, però, è che anche la scelta relativa a quale funzione obbiettivo massimizzare si riduce alla massimizzazione di una "terza" funzione obbiettivo, e questo porta ad un regresso all'infinito nella rincorsa a funzioni obbiettivo sempre più remote, ad ognuna delle quali è associato un "motivo" che determina la scelta.
· Ob = h(z), funzione obiettivo da massimizzare;
· Z = [f1
(x); f2(x); ...; fi(x); ...; fn
(x)], vettore delle azioni (l’azione i-esima in questo caso corrisponde alla scelta della i-esima funzione obiettivo “primaria”), a cui è univocamente associato:
· P = [z1
; z2; ...; zi; ...; zn
], vettore conseguenze;
· fi
(x) tale che Ob(zi
) = max, scelta effettuata;
· C[Ob = max se, e solo se z := zi
], causa della scelta;
· E[f := fi
], effetto (anche questa volta, la specifica scelta).
L’unica differenza che si trova a questo livello di ricorso a ritroso dello schema decisionale riguarda la definizione delle conseguenze zi: infatti, mentre precedentemente una conseguenza era un argomento di una funzione obbiettivo primitiva, che poteva eventualmente massimizzare, e si sceglieva, appunto, per la conseguenza massimizzante; ora, una conseguenza è definibile come “disporre di una funzione obbiettivo massimizzabile tramite una alternativa di scelta non massimizzante la funzione obbiettivo primitiva”, cioè, la conseguenza non è un evento legato casualmente al ventaglio di alternative di azione iniziale, che sono quelle suscettibili di scelta finale, e quindi effettive, ma è evento legato, tramite causalità “teleologica”, al risultato che si vuole ottenere, sintetizzato dalla funzione obbiettivo di secondo livello. Nella scelta di primo livello si ha che le conseguenze sono legate causalmente alle azioni alternative e la scelta è legata tramite causalità teleologica alla conoscenza delle conseguenze. Nella scelta di secondo livello, invece, le conseguenze sono legate tramite causalità teleologica alla funzione obbiettivo di secondo livello e la scelta, ancora, tramite causalità teleologica alla conoscenza delle conseguenze.

Tutto ciò, altro non vuol dire, se non che la "causa" della scelta soggettiva è regredibile all'infinito, lungo il filo della concatenazione causa/effetto "motivazionale": in questo modo risulta "ricostruito" il principio di causazione nelle scelte soggettive.
La convinzione di una scelta "diversa" (intendi "slegata da una concatenazione causale") e, quindi, della "libertà" dell'arbitrio soggettivo deriva dalla "confusione" (ma forse, e meglio, "non distinzione") tra funzioni obbiettivo alternative che vengono massimizzate da scelte fra azioni diverse ma facenti parte dello stesso set di alternative disponibili per entrambe le funzioni obbiettivo.
Analizzando il problema del processo decisionale in questi termini, nulla rimane senza "causa" (intendi: "slegato da una catena di causa/effetto) e, quindi, non c'è spazio per il libero arbitrio.
Voglio precisare una cosa: il motivo per cui ho formalizzato tramite una simbologia ad hoc i concetti che ho espresso in questo post non riguarda tanto il valore “didattico” e esplicativo degli stessi, al fine della comprensione dei concetti espressi. Ho pensato, però, che potrebbe essere utile disporre di un linguaggio simbolico per il “calcolo motivazionale”, se così lo si vuol chiamare; attenzione, non ho composto una simbologia atta alla descrizione ex-ante di un processo decisionale, ho proposto un linguaggio simbolico per la ricostruzione ex-post della catena motivazionale soggettiva. L’utilità di un simile strumento potrebbe rivelarsi se decidessi di affrontare ancora l’argomento, ampliandolo o, semplicemente, specificando meglio dei concetti in esso già presenti. Disporre allora di un linguaggio unico e formale aiuterebbe a non confondere le accezioni dei termini. Ovviamente, questa precisazione lascia intendere che, prima o poi, tornerò sull’argomento.

Saluto.
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