VIII. L'Io altro.
Allora, sentite questa, e prendetela in termini esistenziali.
Io mi caratterizzo (il mio Io si caratterizza…) per l’immediatezza percettiva dell’esserci. L’esserci è l’insieme delle relazioni che si stendono tra noi (il nostro Io) ed il mondo.
Quindi, “l’Io altro” non esiste.
Badate, in termini logico/ontologici potrebbe anche esistere (pur essendo questa una questione indicibile) ma, in termini esistenziali, “l’Io altro” è un concetto contraddittorio.
Rinviando ad un post futuro (forse) una analisi della possibilità di una riconduzione “ad uno” (o, quanto meno, di una potenziale commensurabilità) di una prospettiva esistenziale e di una prospettiva logica, voglio esplicitare come la mia conclusione scaturisce dalle assunzioni che ho posto.
Se l’Io è l’immediata percezione dell’esserci, significa che esso è un connotato “interno”, nel senso che non è possibile una rilevazione “esterna” di un Io diverso dal proprio. Se anche fosse possibile attuare una intersezione delle coscienze (la coscienza è il dominio dell’Io, quindi contiene l’esserci, la relazione intercorrente tra l’Io e l’esserci che lo caratterizza è, appunto, la coscienza), questa si manifesterebbe unificando i contenuti coscienti di due esserci, ma se due esserci sono contenuti in un unico dominio cosciente, fanno riferimento ad un unico Io, cioè ad un’unica unita appercettiva. Quindi, pensare un “Io altro” è contraddittorio: un Io non può rilevarne un altro e se prova ad immaginarlo non può che caratterizzarlo come il “proprio Io”.
Credo che l’impossibilità di concepire un “Io altro” sia una connotazione dell’Io stesso, l’impossibilità esistenziale di un “Io altro” risulta dalla struttura stessa dell’Io. Quindi, è erroneo parlare del “mio Io”, in quanto un “Io altro” non esiste.
C. v. d.
Io mi caratterizzo (il mio Io si caratterizza…) per l’immediatezza percettiva dell’esserci. L’esserci è l’insieme delle relazioni che si stendono tra noi (il nostro Io) ed il mondo.
Quindi, “l’Io altro” non esiste.
Badate, in termini logico/ontologici potrebbe anche esistere (pur essendo questa una questione indicibile) ma, in termini esistenziali, “l’Io altro” è un concetto contraddittorio.
Rinviando ad un post futuro (forse) una analisi della possibilità di una riconduzione “ad uno” (o, quanto meno, di una potenziale commensurabilità) di una prospettiva esistenziale e di una prospettiva logica, voglio esplicitare come la mia conclusione scaturisce dalle assunzioni che ho posto.
Se l’Io è l’immediata percezione dell’esserci, significa che esso è un connotato “interno”, nel senso che non è possibile una rilevazione “esterna” di un Io diverso dal proprio. Se anche fosse possibile attuare una intersezione delle coscienze (la coscienza è il dominio dell’Io, quindi contiene l’esserci, la relazione intercorrente tra l’Io e l’esserci che lo caratterizza è, appunto, la coscienza), questa si manifesterebbe unificando i contenuti coscienti di due esserci, ma se due esserci sono contenuti in un unico dominio cosciente, fanno riferimento ad un unico Io, cioè ad un’unica unita appercettiva. Quindi, pensare un “Io altro” è contraddittorio: un Io non può rilevarne un altro e se prova ad immaginarlo non può che caratterizzarlo come il “proprio Io”.
Credo che l’impossibilità di concepire un “Io altro” sia una connotazione dell’Io stesso, l’impossibilità esistenziale di un “Io altro” risulta dalla struttura stessa dell’Io. Quindi, è erroneo parlare del “mio Io”, in quanto un “Io altro” non esiste.
C. v. d.
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