lunedì, aprile 04, 2005

VII. La difficoltà di essere normali (soggetto suggeritomi da mia cugina Valentina).

Mia cugina Valentina mi ha proposto un argomento, che ho riportato come titolo del post che state leggendo. Ci ho riflettuto un po’. Di seguito riferisco i risultati della mia riflessione.
Se, davvero, fosse difficile essere normali, molto probabilmente, sarebbero poche le persone capaci di esserlo. E allora accadrebbe che normali sarebbero solo gli appartenenti ad una ristretta cerchia di eletti. Una “ristretta cerchia di eletti” sarebbe composta da individui “normali”… Mi suona male… Solo gli “eletti” sarebbero “normali”…
No, non va, non funziona così. Non credo sia difficile essere normali.
Mettiamola così: i “normali” non sanno che fare dalla mattina alla sera e nel loro cervello accade talmente poco di interessante, che ad essi rimane tutto il tempo di pensare ad inutili banalità di ogni tipo. I “normali” non hanno la minima idea di come sia costituito il loro rapportarsi agli altri, ed al mondo in generale. Essi guardano gli altri (“normali”) e li giudicano, per lo più presuntuosamente, creando uno stereotipo di “normalità”, generato per contrasto rispetto a quello che non gradiscono nel mondo e negli altri, senza analizzare motivazioni o situazioni e quant’altro. Essi giudicano la normalità e, male intendendola, ne trovano un significato “esterno”, “deviato” e “deviante”. Ma, specialmente, “deviante”: il concetto di “normalità”, prodotto dai “normali”, è creato eliminando dalla “normalità” gli aspetti che ai “normali” non vanno bene, si badi però, solo quando questi aspetti sgradevoli li colpiscono in prima persona, non anche quando essi stessi adottano atteggiamenti che manifestano aspetti della “normalità” sgraditi ad altri. Al che questo concetto viene predicato e diffuso proprio da colui che, in quanto “normale”, non ne fa parte; tale concetto viene imposto come il valore di “normalità” sociale, e, tramite la minaccia della emarginazione, il concetto di “normalità” così costituito tende a “deviare” le persone “normali” e a farle diventare paranoiche, ansiose, insoddisfatte e quant’altro.
Chi parla di “normalità”, proponendone un significato, è sempre convinto di ricadere nella “normalità”, ma non è mai conscio di non ricadervi affatto.
È “normale” che io faccia “questo e quest’altro”; perché? Perché sono io a farlo e, guidato dall’istinto e dalla parzialità cieca tipica dell’essere umano, non sento il bisogno di spiegarmi la valenza sociale del mio agire. Non è “normale” che tu faccia quello stesso “questo e quest’altro”; perché? Perché sono io a subirlo e, guidato dall’istinto e dalla parzialità cieca tipica dell’essere umano, percepisco immediatamente come prevaricante la valenza sociale del tuo agire.
Di “normalità” non si deve parlare, questo è quanto.
Grazie Valentina.

3 Comments:

Anonymous Anonimo said...

interessante ragionamento sulla normalità

Ma la normalità è anche divisa in gruppi.
In un gruppo di elite, se ti comporti come gli altri, hai un comportamento"normale".
O sbaglio ?

venerdì, aprile 08, 2005 12:59:00 PM  
Blogger IoSo__ said...

Anzitutto, papclems, grazie per il tuo commento al mio post. Per quanto riguarda quello che tu proponi, la mia idea è che non sia propriamente corretto dire che la normalità si divida in gruppi, quanto che ogni gruppo ha la sua normalità. Se la si mette in questo modo, e mi pare una posizione sostenibile, allora, il discorso torna a quello che dico nel post.
Non pretendo di convincerti. Comunque, se hai voglia di parlarne, puoi scrivere qualcosa a proposito nella sezione pubblica del forum associato al blog, di cui trovi il link in alto a destra nella pagina del blog. La tua pagina web è vuota o sono io che non riesco a visualizzarla correttamente? Grazie ancora; IoSo.

venerdì, aprile 08, 2005 2:31:00 PM  
Anonymous Anonimo said...

la mia pagina web è vuota.. ma la riempirò, spero passandoci tutte le emozioni che mi riempono :D

martedì, maggio 31, 2005 3:20:00 AM  

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