venerdì, giugno 10, 2005

XVII. Essere ideale (not “ideal being”, but “being ideal”).

A chi dice di conoscere chi la sua donna o uomo ideale sia, domandate se quello o quella che loro ritengono tale si caratterizzi anche per definire loro il proprio uomo o donna ideale. Se non fosse così, quello che essi definiscono compagno ideale non sarebbe tale.
Inoltre, per piacere ci si deve far piacere colui a cui si vuole piacere.
Tuttavia, il fatto che io ritenga qualcuno il mio migliore amico non implica che quel qualcuno ritenga me tale.
Credo che si faccia molta confusione a proposito delle relazioni interpersonali. Spesso si presuppone la simmetricità di tali relazioni, anche quando tale simmetricità non è minimamente presente, né dovuta; altre volte, pur tentando di stabilire una relazione, non si riconosce che la simmetricità è richiesta per il suo buon fine. Non bisogna poi perdere di vista il fatto che, siano le relazioni interpersonali simmetriche o meno, esse a volte sono transitive, a volte no, e lo stesso vale per l’imperatività. Che “l’amico del mio amico è un mio amico” non mi sembra sempre vero. Che “il nemico del mio nemico è un mio amico” è una asserzione su cui nutro molti dubbi. E che qualcuno sia “o con me o contro di me” è anche, a mio parere, una posizione non sempre sostenibile. Inoltre, molte relazioni interpersonali sono suscettibili di assumere diversi gradi di intensità, il ché implica che, anche in caso di simmetricità di una relazione, non necessariamente l’intensità della relazione sia la stessa in entrambe le direzioni: quindi, non bisogna sempre aspettarsi che quello che si è disposti a fare per qualcuno sia disposto a farlo quel qualcuno per noi.
Quello che dico è molto ovvio ma, ciononostante, mi pare che molte persone si comportino non rendendosene conto. Mio padre spesso dice che “l’ovvio non è mai morto” e credo che abbia ragione. Quello che, invece, a me viene spesso da dire è che “il senso comune a volte ci sommerge” e credo di avere ragione.
Uno dei fenomeni generati dalla confusione che si fa relativamente alle relazioni interpersonali è l’insoddisfazione sistematica. Spesso non si nota che le persone che si vorrebbe avere vicine potrebbero esserci davvero gradite solo se fossero “diverse da come sono”, cioè solo se, per esempio, oltre ad essere quello che sono, avessero anche la caratteristica di volere persone come noi vicine. Questa svista distorce la visione dello stato attuale effettivo delle nostre relazioni personali. In questi casi, non si riesce a riconoscere che le persone che si hanno effettivamente intorno sono le persone che si merita avere vicine. Allora accade che gli obbiettivi slittano da “modificare se stessi per essere graditi” a “modificare gli altri per farsi gradire”: questo spessissimo genera tensioni interpersonali e, nella stragrande maggioranza dei casi, resta un tentativo inutile e privo di successo.
La stessa situazione, ma vista nella prospettiva opposta, si manifesta quando si cerca di essere graditi a qualcuno, magari con fini diversi dall’amicizia. Molti non si accorgono che se si cerca la benevolenza di qualcuno per secondi fini, non si sta cercando di stabilire una relazione “spinti” da una causa come può essere, per esempio, una affinità elettiva, ma si sta agendo “trascinati” da un obbiettivo laterale rispetto alla relazione che si desidera. In questi casi, mi pare, in contropartita al fine, che a volte si può anche riuscire a raggiungere, si ottiene la terra bruciata; a lungo andare, infatti, chi usa le persone come strumenti nella propria scatola degli attrezzi rimane solo.
Io non esprimo giudizi etici, non credo che ci sia bisogno di un’etica nella vita; credo, però, che sia necessaria una buona capacità di comprendere le cause e le conseguenze del proprio agire. Si badi, non sto intimando l’attenzione a chi rischia di ferire il proprio prossimo con un comportamento sconsiderato; né sto dicendo che adottando un atteggiamento critico, analitico ed attento relativamente alle relazioni interpersonali si può riuscire a gestirle in modo ottimale. Quello che sto dicendo, in verità, è che se si comprende a fondo la natura delle cose e, in questo caso, del nostro relazionarci agli altri, si comprende anche che le cose sono quello che devono essere, e che di margini concessi non ce ne sono. Un obbiettivo come “modificare se stessi per essere graditi” è raggiunto quando si è preso coscienza di quali sono le relazioni che si possono effettivamente avere con le persone. Un obbiettivo come “modificare gli altri per farsi gradire”, invece, implica un intervento che richiede un margine di operatività di cui non si dispone. Se capiamo cosa è necessario e cosa no e, quindi, cosa è possibile volere e cosa no (si badi, ancora, ciò che non è possibile volere, logicamente possibile, non ci addolora se non lo abbiamo), allora si riesce a smettere di lamentarsi e di essere scontenti: non si diventa felici, la vita non permette la felicità, ma si smette di essere tristi. Spesso crediamo di volere cose che, se analizzate bene e compresane la natura, si rivelano lontane dai nostri desideri.
Solo questo, vivete.
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