venerdì, giugno 17, 2005

XIX. Sogni.

Se sogni, desideri qualcosa che non è; se desideri qualcosa che non è, sei triste; se sei triste, non riesci a godere di quello che hai; se non riesci a godere di quello che hai, lo perdi; se perdi quello che hai, ti rammarichi; se ti rammarichi, sogni di poter tornare indietro. A questo punto torna all’inizio e cerca di non sognare.
I sogni non spingono avanti il mondo, i sogni sono spinti dentro le nostre teste dal mondo, dalla mancanza, dal dolore e dalla delusione; quindi il seme da cui nascono i sogni è la tristezza. Il sogno è un qualcosa di già desiderato e non ricevuto, se continuiamo a desiderare quello che sogniamo, continueremo a vivere nella mancanza. Se smettiamo di credere nei sogni e di desiderare ciò che sogniamo, forse riusciamo a godere di quello che la vita ci ha dato.
Non sto consigliando di accontentarsi, sto suggerendo di godere di quello che esiste e che è raggiungibile, non quello che, in quanto sogno, già si rivela non disponibile per noi.
I sogni più pericolosi sono quelli più vecchi, perché il fatto che in anni di sforzi non si è riusciti a realizzarli vuol dire che sono i più lontani dalle nostre possibilità. Per esempio, io temo grandemente i sogni che mi porto dall’infanzia.
Credo che non valga dire che ciò che non era realizzabile una volta potrebbe divenirlo in futuro: nella maggior parte dei casi del genere, infatti, l’uomo che, dopo anni e anni di sacrifici e privazioni, è riuscito in quello a cui ha anelato per tutta la vita, si ritrova senza il tempo per goderne.
Qualcuno a questo punto mi direbbe: “Ma allora, seconde te, non si dovrebbero mai fare piani a lunga scadenza e ci si dovrebbe limitare ad ottimizzare la propria condizione immediata? Di giorno in giorno, senza un obbiettivo di vita ben preciso?”. Ed io a questo qualcuno risponderei: “Quello che non si deve fare non è il piano a lunga scadenza, è farlo senza considerare quali alternative sono disponibili e quali no”. Infatti, il problema è che se si dice: “Voglio questo e questo”; e poi ci si organizza per il raggiungimento di questo obbiettivo, si potrebbe sbattere la testa contro un muro indistruttibile strada facendo (il che potrebbe anche accadere fra venti anni, dopo aver “buttato” venti anni, quindi non venitemi a dire che provar non nuoce, perché può nuocere, eccome). Allora, io dico, il piano a lunga scadenza facciamolo pure, ma non partendo dal futuro (il famoso “Voglio questo e questo”) per poi “inseguire”, facciamolo dal presente per “tracciare”. Decidiamo di andare dove possiamo andare, e questo lo si vede giorno per giorno vivendo, così da non dover cambiare mai strada a causa di un ostacolo insormontabile: costruiamo la strada dove è più facile e sicuro e opportuno e divertente costruirla, per giungere dove le nostre capacità ci portano. Chi si ostina a segnare un obiettivo, un sogno, a priori, dovrà tracciare il suo sentiero per selve, rovi e rupi, perché non avrà deciso per il sentiero di vita più opportuno e proficuo, avrà solo mirato in linea d’aria un bersaglio da inseguire.
Non siamo uccelli, la linea d’aria non fa per noi.

Saluto.

sabato, giugno 11, 2005

XVIII. Cascata delle Marmore, belvedere inferiore.


Cascata delle Marmore, belvedere inferiore. Posted by Hello
Una foto che ho scattato lo scorso fine settimana.
Saluto.

venerdì, giugno 10, 2005

XVII. Essere ideale (not “ideal being”, but “being ideal”).

A chi dice di conoscere chi la sua donna o uomo ideale sia, domandate se quello o quella che loro ritengono tale si caratterizzi anche per definire loro il proprio uomo o donna ideale. Se non fosse così, quello che essi definiscono compagno ideale non sarebbe tale.
Inoltre, per piacere ci si deve far piacere colui a cui si vuole piacere.
Tuttavia, il fatto che io ritenga qualcuno il mio migliore amico non implica che quel qualcuno ritenga me tale.
Credo che si faccia molta confusione a proposito delle relazioni interpersonali. Spesso si presuppone la simmetricità di tali relazioni, anche quando tale simmetricità non è minimamente presente, né dovuta; altre volte, pur tentando di stabilire una relazione, non si riconosce che la simmetricità è richiesta per il suo buon fine. Non bisogna poi perdere di vista il fatto che, siano le relazioni interpersonali simmetriche o meno, esse a volte sono transitive, a volte no, e lo stesso vale per l’imperatività. Che “l’amico del mio amico è un mio amico” non mi sembra sempre vero. Che “il nemico del mio nemico è un mio amico” è una asserzione su cui nutro molti dubbi. E che qualcuno sia “o con me o contro di me” è anche, a mio parere, una posizione non sempre sostenibile. Inoltre, molte relazioni interpersonali sono suscettibili di assumere diversi gradi di intensità, il ché implica che, anche in caso di simmetricità di una relazione, non necessariamente l’intensità della relazione sia la stessa in entrambe le direzioni: quindi, non bisogna sempre aspettarsi che quello che si è disposti a fare per qualcuno sia disposto a farlo quel qualcuno per noi.
Quello che dico è molto ovvio ma, ciononostante, mi pare che molte persone si comportino non rendendosene conto. Mio padre spesso dice che “l’ovvio non è mai morto” e credo che abbia ragione. Quello che, invece, a me viene spesso da dire è che “il senso comune a volte ci sommerge” e credo di avere ragione.
Uno dei fenomeni generati dalla confusione che si fa relativamente alle relazioni interpersonali è l’insoddisfazione sistematica. Spesso non si nota che le persone che si vorrebbe avere vicine potrebbero esserci davvero gradite solo se fossero “diverse da come sono”, cioè solo se, per esempio, oltre ad essere quello che sono, avessero anche la caratteristica di volere persone come noi vicine. Questa svista distorce la visione dello stato attuale effettivo delle nostre relazioni personali. In questi casi, non si riesce a riconoscere che le persone che si hanno effettivamente intorno sono le persone che si merita avere vicine. Allora accade che gli obbiettivi slittano da “modificare se stessi per essere graditi” a “modificare gli altri per farsi gradire”: questo spessissimo genera tensioni interpersonali e, nella stragrande maggioranza dei casi, resta un tentativo inutile e privo di successo.
La stessa situazione, ma vista nella prospettiva opposta, si manifesta quando si cerca di essere graditi a qualcuno, magari con fini diversi dall’amicizia. Molti non si accorgono che se si cerca la benevolenza di qualcuno per secondi fini, non si sta cercando di stabilire una relazione “spinti” da una causa come può essere, per esempio, una affinità elettiva, ma si sta agendo “trascinati” da un obbiettivo laterale rispetto alla relazione che si desidera. In questi casi, mi pare, in contropartita al fine, che a volte si può anche riuscire a raggiungere, si ottiene la terra bruciata; a lungo andare, infatti, chi usa le persone come strumenti nella propria scatola degli attrezzi rimane solo.
Io non esprimo giudizi etici, non credo che ci sia bisogno di un’etica nella vita; credo, però, che sia necessaria una buona capacità di comprendere le cause e le conseguenze del proprio agire. Si badi, non sto intimando l’attenzione a chi rischia di ferire il proprio prossimo con un comportamento sconsiderato; né sto dicendo che adottando un atteggiamento critico, analitico ed attento relativamente alle relazioni interpersonali si può riuscire a gestirle in modo ottimale. Quello che sto dicendo, in verità, è che se si comprende a fondo la natura delle cose e, in questo caso, del nostro relazionarci agli altri, si comprende anche che le cose sono quello che devono essere, e che di margini concessi non ce ne sono. Un obbiettivo come “modificare se stessi per essere graditi” è raggiunto quando si è preso coscienza di quali sono le relazioni che si possono effettivamente avere con le persone. Un obbiettivo come “modificare gli altri per farsi gradire”, invece, implica un intervento che richiede un margine di operatività di cui non si dispone. Se capiamo cosa è necessario e cosa no e, quindi, cosa è possibile volere e cosa no (si badi, ancora, ciò che non è possibile volere, logicamente possibile, non ci addolora se non lo abbiamo), allora si riesce a smettere di lamentarsi e di essere scontenti: non si diventa felici, la vita non permette la felicità, ma si smette di essere tristi. Spesso crediamo di volere cose che, se analizzate bene e compresane la natura, si rivelano lontane dai nostri desideri.
Solo questo, vivete.

giovedì, giugno 02, 2005

XVI. Tramonto di un'epoca.


Tramonto di un'epoca. Posted by Hello
Ancora una fotografia.
Saluto.
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