giovedì, gennaio 04, 2007

XLVIII. Morte del mio cane.

L'istante denso in cui quegli occhi vidi soccombere con crudele lentezza, sentii il mio petto svuotato d’ogni voglia d’essere al mondo: come se un vento spirasse dal mio centro; come se il vuoto tutt’intorno aspirasse attraverso i bronchi tutta la mia forza, svuotandomi i polmoni, crucciandomi le spalle, inarcandomi la schiena, rammollendomi il collo, appesantendomi le braccia; volendomi vedere piangere. In un senso d’enorme privazione ebbi d’un attimo tutti i miei pensieri trasformati; un senso pesante, d’una irreversibilità così evidente e ineluttabile da annullare ogni forma di sicurezza e completezza esistenziale.
Questo fu il mio primo incontro con la morte. Essa si manifestò con un dolore diverso da ogni altro ch’io avessi mai provato prima: più sordo, più ottundente, più disorientante. Fu quello il dolore che mi parve ingiusto nel più totale ed esauriente dei significati. Tutti i dolori ch’avevo vissuto fino ad allora erano stati miei, li portavo, li costruivo, li articolavo, in qualche astruso modo n’ero il genitore unico e completo. E ciò che fu quella sera di natale non ebbe molto a spartire con quel tipo di dolore. La morte, in me, nacque allora.

1 Comments:

Anonymous Anonimo said...

L'ho vista la morte. E' venuta tra le mie braccia. Ma ancora non me ne sono accorta. E' come aver scorto solo un pixel. Era troppo vicina.

venerdì, gennaio 05, 2007 2:06:00 PM  

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