giovedì, marzo 09, 2006

XLII. Sei ciò che soffri.

Mal s'alloca, eppur caparbio vi s'insinua, in quel mesto luogo ch'è il mio cuore, un senso astruso d'esser meglio, d'esser bello, d'esser desiderato.
Lo lenisco, lo svio, lo sfumo, sia pur non d'un'opportuna, desiderabile, gradazione, con il saziarne un altro: ch'è più intellettuale, tant'è che tuttor mi sfugge se giaccia anch'esso nel cuor o nel cervello. Conoscere.
Ma non basta. E m'affonda, mi distoglie, mi consuma.
E bello sarebbe, financo il pensar s'ardisce a consigliarmi, d'essere privo d'ogni orgoglio, d'ogni velo, d'ogni fardello.
Sono quel che appaio, grida, e ne geme, il centro del mio dolore, che sono io.

2 Comments:

Anonymous Anonimo said...

Bello il contenuto. Mi capita spesso di sentirmi cosi' :S, non mi piace molto come e' esposto, saro' ignorante e privo di gusto artistico forse, ma per me il linguaggio e' troppo aulico.

venerdì, marzo 10, 2006 10:15:00 AM  
Anonymous Anonimo said...

Concordo con Paolo.
A pa pensaci pero'..il linguaggio non puo' essere diverso da quello.
Andrea e' Andrea, quando scrive e' sempre cosi'!
Non verrebbe dalla sua testa se fosse diverso!

Baci a tutti!

martedì, marzo 14, 2006 12:48:00 PM  

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