giovedì, settembre 15, 2005

XXIX. La vita della morte.

Stasera ho ucciso.
E quando me ne sono reso conto le mie gambe hanno tremato.
Era qualcuno amato. Tutto lasciava pensare che qualcuno lo amasse.
Quando mi sono avvicinato al corpo, ho visto che aveva il collo ritorto in modo innaturale, sangue che colava dalla bocca e gli occhi vivi sgranati: lì, a guardarmi. Gli occhi erano vivi, vivissimi… Mi gridavano il suono della vita, ma dalla morte.
Sì, perché la morte non è molto diversa dalla vita. A volte è più bella l’una, a volte l’altra. A volte una è più desiderabile, a volte lo è l’altra. Ma non sono profondamente diverse. Posso vederlo.
Nella morte di quel corpo ho visto infatti il suono della vita strillato a squarciagola da quegli occhi verdi elettrizzati; elettrizzanti. Ma senza rumore.
In quel collo ritorto ho annusato l’odore della vita, emanato dall’adrenalina dell’ultimo spasmo; spasmodico. Ma senza movimento.
In quel rigolo di sangue ho visto il colore della vita, riflesso dai resti di organi interni devastati; devastanti. Ma senza riflussi.
Amato lo era, di certo.
In quel ciondolo appeso al collo ho sentito tutte le carezze, le attenzioni e gli abbracci ricevuti.
Sì, chiaramente nella sua morte ho potuto leggere tutta la sua vita. No, non sono così dissimili; non lo sono. L’una dovrebbe essere il termine dell’altra: così che la morte di per se non dovrebbe esistere, se non in negativo; essa nulla sarebbe se non il limite della successione dei fatti della vita. Infatti, la morte non si esperisce. Tuttavia ho potuto vedere che anch’essa esiste, l’ho vista, c’era. Era una morte viva.

Credo che tutte le pulsioni esistenziali dei sensi di cui pur arrecava piacere l’accondiscendere, erano fonte di dolore quando rimanevano non licenziate. Invece ora nulla è richiesto, preteso o anelato. Ora è nulla. Eppure è ancora tutto lì.
No, decisamente non riesco più a credere che la vita e la morte siano distinte.
L’ho scoperto stasera, decretando, involontariamente, la sua morte.
Chi lo amava soffrirà domani mattina. Quando vedrà il suo gatto sbalzato sul marciapiede dal paraurti di una automobile.
Ecco.
Per questo esse non sono diverse.
La morte è il limite della vita e, in quanto tale, colui che smette di vivere non la sperimenta mai, egli non muore mai; in questo senso esse sono distinte. Tuttavia, se chi smette di vivere è amato o, almeno, conosciuto, allora la morte inizia ad essere viva. Sì. Nel cuore di chi ama chi più non vive, la morte esiste come prosecuzione della vita di colui che non esiste più.
La nostra morte non ci appartiene mai, ma ci appartengono, e solo a noi, le morti di coloro che conoscevamo.
Saluto.
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