sabato, luglio 09, 2005

XX. Chi guarda dentro chi.

La verità accade spessissimo che sia per molti ciò che si riesce a sopportare, più che ciò che si riesce a riconoscere. Molti temono ed evitano di vedere quello che ci sarebbe da vedere e preferiscono limitarsi a vedere quello che la loro debole personalità è in grado di sopportare.
E le personalità di noi tutti sono, in qualche modo, deboli.
Inconsciamente, si trascura di osservare le vere relazioni che intercorrono tra i fatti e le nostre rappresentazioni di essi, per tutelare le credenze e i valori sui quali si è riusciti a costruire una vita.
In un certo senso non è un problema credere in “certe verità”, anche quando queste sono solo comode e non necessarie da un punto di vista logico. Si può tranquillamente continuare a credere in un luogo comune anche quando questo è molto lontano dallo stato dei fatti, anche solo perché il reale stato dei fatti non ci permetterebbe di sostenere alcune delle convinzioni su cui abbiamo basato la nostra vita; o perché altrimenti dovremmo riconoscere dei costi opportunità che abbiamo ingiustificatamente sostenuto o dei fallimenti che ci darebbe sofferenza ammettere.
Si ha paura di guardare la realtà, si teme di guardare alle vere relazioni che intercorrono fra la nostra vita ed il mondo, e allora si ignora la verità e si persevera nell’errore.
Ma perché correggere un errore se la correzione arreca dolore e il guadagno della verità non apporta giovamenti? Sì, perché se si è compiuto un errore una volta, e lo si è rimosso per non doverlo fronteggiare, sopportandone le conseguenze con artificiosa buona disposizione, considerandole il costo di un valore fantoccio a cui attribuiamo importanza, è molto probabile che, pur ammettendo l’errore, non si sarebbe in grado di comprenderne le motivazioni per evitarlo in futuro. Non tutti imparano dai propri errori, e non perché non li riconoscono, ma perché non ne sono in grado. La non rimozione dell’esperienza di un errore compiuto non è la condizione per poterne imparare qualcosa di buono, è la conseguenza della incapacità di imparare qualcosa di buono dai propri errori. Chi ha rimosso il ricordo di un errore, o artificiosamente non lo riconosce come tale, fino, a volte, a trasformarlo in un successo morale in onore di un valore fantoccio, ha dimostrato di non essere in grado di crescere oltre quell’errore. Chi non guarda dentro la realtà non ne viene sconfitto, è chi viene sconfitto da essa che non vi guarda dentro. Quindi, in effetti, non è, né in un eventuale senso morale, doveroso, né, in pratica, opportuno sforzarsi di guardare dentro la realtà.
La realtà è per pochi, ma anche pochi sono per la realtà. Essa anche, infatti, guarda. Essa osserva dentro alcuni di noi, così come alcuni di noi osservano dentro di essa. Chi osserva dentro la realtà la verità è colui che è in grado di imparare dai propri errori, nel senso inverso di coloro che non lo fanno. Se si è capaci di imparare dai propri errori, si è in grado di guardare dentro la realtà, essa ci si concede; tuttavia, essa richiede un prezzo per questa concessione, essa nell’aprirsi a chi la osserva, anche lo scruta dentro.
A volte la realtà ha imparato da qualcuno. Ogni volta che la realtà ha guardato dentro qualcuno, vuol dire che è stata in grado di imparare dai propri errori. Infatti non solo gli uomini sbagliano: nel tempo della storia vi sono giorni in cui anche la realtà ha sbagliato, e quelli sono i giorni in cui la verità è stata falsa.
Ricordate i miei discorsi sulla rete? Ricordate che la rete va ciecamente avanti senza deliberazione alcuna ma inesorabilmente portata dalla sua essenza? Ecco. Accade a volte che la rete si spinga troppo avanti, troppo oltre, per potere ancora rappresentare i suoi mattoni. Essa ineluttabilmente è ed ineluttabilmente è qualcosa che non è, in quanto ciò che le sue parti in essa osservano e non è quello che essa è diventata. Questo è ciò che accade al mancare di una coscienza: che ciò che l’aggregato è non è ciò che esso sente di se stesso. L’uomo, cosciente, è costantemente quello che sente, non quello che crede, ma quello che sente di essere, e l’uomo sente ciò che il mondo fa su di lui. Un uomo che guarda dentro la realtà vi vede anche se stesso, in quanto riesce ad osservare i tentacoli del mondo che operano su di lui.
Ogni volta che qualcuno guarda dentro la realtà sta guadagnando un maggior grado di coscienza, e la realtà, che pure lo sta guardando dentro, cambia in virtù di tale insegnamento, e diventa più simile a ciò di cui è composta.

Saluto.
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