lunedì, marzo 20, 2006

XLIII. Poesia sull'essenza del mio essere.

Cercando vago ed ascoltando mi perdo in risposte ch'ancora il cuore non può non affrontare.
Voler sembrare sia pur non conferendo con quel concetto che del sé s'è posto ad icona.
Ecco un senso opaco d'un vivere falso, stanco, e tristo, ch'annebbia i gesti ed il valor ne lima.
Cerco, da sempre disperatamente, nunzi e notizie, leggi o favelle, morali od opportuni stati, d'un esser che sia io: ma nessuna legge prescrisse allora dell'esistere dell'atomo, nè potrebbe esservene per l'esistere dell'essere.
L'essere io ormai mi desta un senso oscuro di reclusione e preclusione: sii, mi dico, e basta.
Non più dovrei cercar di me stesso una ragione, una via, un segno: siamo intersezioni di percezioni, siamo sensi e interiezioni, siamo oggetti di coscienze comuni, siamo ombre e riflessi.
Ma siamo; ci basti.

giovedì, marzo 09, 2006

XLII. Sei ciò che soffri.

Mal s'alloca, eppur caparbio vi s'insinua, in quel mesto luogo ch'è il mio cuore, un senso astruso d'esser meglio, d'esser bello, d'esser desiderato.
Lo lenisco, lo svio, lo sfumo, sia pur non d'un'opportuna, desiderabile, gradazione, con il saziarne un altro: ch'è più intellettuale, tant'è che tuttor mi sfugge se giaccia anch'esso nel cuor o nel cervello. Conoscere.
Ma non basta. E m'affonda, mi distoglie, mi consuma.
E bello sarebbe, financo il pensar s'ardisce a consigliarmi, d'essere privo d'ogni orgoglio, d'ogni velo, d'ogni fardello.
Sono quel che appaio, grida, e ne geme, il centro del mio dolore, che sono io.
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