martedì, marzo 29, 2005

VI. Let’s have a stop to wonder about “me and the net”, oggi parlo di LENTEZZA.

Da sempre corro, ma non vado veloce, vado di fretta.
Correre per arrivare prima; ma prima di chi?
Un sistema va alla velocità del suo elemento più lento. Se io sono parte del mondo, e sono il più lento, se anche cerco di sbrigarmi, sto solo facendo camminare il mondo più velocemente. E rispetto agli altri sono comunque indietro. Se nel mondo non sono il più lento, e mi adopero per andare più veloce, il più lento al mondo mi trattiene ed io vado alla sua velocità, nonostante i miei sforzi.
Conviene essere ultimi e non preoccuparsi troppo di sbrigarsi: il mondo “deve” aspettare.
Quindi?
Quindi, se (come dico, più o meno, in presentazione – in alto a destra) “io sono parte del mondo, la storia racconta del mondo, la storia racconta di me, ma la storia dimentica alcuni di noi”, allora, la storia può anche dimenticare qualcuno, il mondo può anche ignorare alcuni; ma questa è solo ipocrisia: che ignorino pure gli scomodi, gli ultimi, i lenti, ma essi peseranno comunque sui loro bilanci.
Ciò che il mondo e la storia vogliono vedere è ciò che ricorderanno, ciò che il mondo e la storia non vogliono vedere è ciò che subiranno.
Vorrei riuscire a rallentare…
Ecco.

mercoledì, marzo 16, 2005

V. Il vero senso (segue dal post del 07/03/2005).

Che la rete adeschi i suoi potenziali utenti ha senso in un’ottica perversa.
La rete guadagna efficienza all’aumentare del numero di individui che vi partecipano: più utenti ci sono, più il loro peso relativo diminuisce, più la rete diventa forte, più essa tende a costituirsi come una entità a se stante. Ma la rete è composta di individui; la rete è “gli individui”. Tuttavia, essa perde il senso del suo fondamento pluralistico e opera come un soggetto individuale che agisce per il raggiungimento del suo scopo. Essa va dove la sua struttura intrinseca la guida, ma il senso di questo “viaggio” è diverso dal senso che le sue componenti primitive, gli utenti, pensano di attribuirgli. Gli utenti non sono percepiti dagli altri utenti, gli utenti percepiscono solo la rete: un muro, non i mattoni che lo compongono; ma essi stessi sono mattoni.
Sono Io che servo la rete o è lei che serve me?
La rete è cieca, incosciente e senza volontà, però si muove lungo un sentiero preciso. La rete ha solo memoria, non ha strumenti per analizzare o valutare i propri ricordi: quegli strumenti sono posseduti dagli utenti, ma gli utenti non possono guidare la rete, non possono esserne a capo, possono solo farne parte. La rete evolve secondo le leggi cieche del transito delle informazioni, la situazione di equilibrio informativo che si genera è paradossale: tutti possono sapere tutto, ma nessuno può intervenire, si può solo partecipare; la rete – questo ammasso di informazioni – serve solo a se stessa, ma non avendo la possibilità di porsi obbiettivi coscienti, essa non serve a nessuno.
Più individui la rete raccoglie, più è facilitato lo scambio di informazioni, più fonti informative divengono disponibili.
Più fonti alternative sono disponibili, più sono le scorciatoie possibili: le esperienze individuali comunicate, recepite, metabolizzate, trasmesse e diffuse perdono la loro connotazione individuale e soggettiva e divengono dominio della rete, esperienze della rete, di tutti e, quindi, di nessuno.
Ogni individuo che entra nella rete ne aumenta l’efficienza con il solo esserci; per ogni nuovo utente della rete, ogni utente perde rilevanza e diventa via, via più superfluo. Questo è un processo “monotòno”, ogni adesione alla rete, come minimo, genera un “legame” tra utente e rete, ma può generarne anche di più; al diminuire del rapporto tra il numero degli utenti ed il numero dei “legami”, diminuisce la rilevanza delle unità di utenza ed aumenta la personalizzazione della rete.
Chi entra nella rete sappia che sta nutrendo un essere che non è in grado di scegliere dove andare, tutti possono contribuire al suo movimento, ma nessuno può determinarne il sentiero.
Saluto.

lunedì, marzo 07, 2005

IV. Essere presente (segue dal post del 01/03/2005).

La moneta va considerata una delle più rilevanti (se non la più rilevante) invenzioni dell’uomo. Essa è uno strumento progettato per facilitare il trasferimento di beni e servizi. Un sistema economico, fondamentalmente, svolge due ordini di attività: produce e consuma. Stanti queste due primitive attività, ogni altro processo che si esplica in un sistema economico è asservito alla loro facilitazione. Ancora due sono le più importanti rivoluzioni che l’uomo ha prodotto nell’organizzare i propri sforzi economici: l’aggregazione degli individui e la divisione del lavoro. Il fatto che l’unione delle forze permetta di ottenere risultati più che proporzionalmente incrementati ha spinto gli individui ad aggregarsi in comunità “economiche”. Il fatto che la suddivisione tra gli individui di una comunità economica dei compiti da svolgere permettesse una specializzazione delle operazioni e degli operatori, aumentandone la produttività, ha incentivato la specificazione del lavoro e la sua suddivisione, il che, a sua volta, ha contribuito alla diminuzione o scomparsa dell’autoconsumo. Il fatto che l’uomo si organizzasse in comunità economiche e che il lavoro venisse suddiviso tra gli individui ha reso necessario un sistema di scambi, che permettesse il trasferimento dei beni e dei servizi di cui ognuno necessitava, ma che non tutti producevano personalmente. Il baratto puro è un sistema di scambi costoso da molti punti di vista (dal punto di vista logistico, della completezza, dal punto di vista informativo, ecc.), tanto da non rendere opportuno, a volte, lo spostamento verso una economia di scambio. La moneta, intesa come mezzo di scambio universale, è il bene che ha permesso la piena percezione dei benefici derivanti da una economia di scambio: con essa ogni scambio è immediatamente attuabile (il barbiere che necessitasse di carote non deve attendere che il contadino abbia bisogno di tagliarsi i capelli); è possibile determinare univocamente i prezzi rendendo più fluida la negoziazione (se il costo di un taglio di capelli è esprimibile in termini di carote, ma il barbiere ha bisogno di sapere quante pere può ottenere per un taglio di capelli, egli deve scoprire quante pere può ottenere per un certo ammontare di carote e, tramite questo, risalire al costo delle pere in termini di tagli di capelli; se tutti i costi sono espresso in termini dello stesso bene, la moneta, si hanno dei “prezzi” univoci); è possibile conservare nel tempo il valore (se il contadino non ha bisogno di scambiare tutte le sue carote ora, per ottenere quello di cui egli ha immediatamente bisogno, potrà, solo, difficilmente conservare le carote per scambiarle in futuro; se egli riceve moneta in cambio delle sue carote, può scambiarle tutte ora, perché la moneta si conserva nel tempo a costo pressoché nullo).
Ora, se in ottica sistemica l’utilità che la moneta, come mezzo di scambio, può fornire è facilmente ed oggettivamente rilevabile, dal punto di vista dell’individuo la questione non è ancora del tutto definita. I benefici che l’individuo può trarre dall’utilizzo del mezzo di scambio “moneta” non sono quantitativamente specificati relativamente al sistema economico: l’utilità individuale derivante dall’utilizzo della moneta è funzione della diffusione nel sistema dell’utilizzo della moneta stessa. Se, in un sistema economico, solo una ristretta cerchia di individui decidesse di utilizzare la moneta per regolare le loro transazioni, allora alcuni dei loro scambi, quelli da intrattenere con la restante parte della comunità economica, non beneficerebbero dei vantaggi che la moneta può portare; inoltre, con elevata probabilità, le possibilità di scambio si ridurrebbero ben al di sotto di quelle possibili in una economia di puro baratto, in quanto, gli utilizzatori di moneta avrebbero convertito le loro riserve in moneta e non avrebbero beni da scambiare con la parte della comunità esclusa dal sistema monetario. Quindi, il numero di scambi possibili aumenta all’aumentare del numero di individui che aderiscono al sistema monetario; all’aumentare del numero di scambi possibili, aumenta la disponibilità di beni, la loro varietà, e, nel complesso, il sistema economico beneficia di una maggiore utilità complessiva. Quindi, all’aumentare del numero di individui che partecipano alla “rete” di scambi tramite lo strumento monetario, aumenta l’utilità che l’individuo trae dall’utilizzo della moneta.
Si pensi, ora, alle “reti” telefoniche; si pensi alle lingue; si pensi alle comunità dei peer to peer; ai protocolli di comunicazione. Tutte situazioni accomunate dal fatto che ciò che lo strumento può dare all’utente, in termini di benefici, è funzione del numero complessivo di utenti presenti nel sistema. Tutte situazioni in cui “essere presente” nel sistema arreca benefici a sé stessi ed agli altri.
A questo punto, è possibile ribaltare la prospettiva di analisi della situazione: poiché l’ingresso dell’individuo in una rete aumenta l’utilità che percepiscono gli altri utenti della rete stessa, allora è la rete nel suo complesso che trae benefici dall’ingresso di nuovi utenti. La rete stessa “desidera” l’ingresso di nuovi utenti, essa cerca di attirare individui al proprio interno, li chiama. Il bisogno che un individuo sperimenta ed il desiderio, ad esso connesso, di entrare a far parte della rete che gli permette di rispondere al suo bisogno, è anche e contemporaneamente un desiderio della rete di innalzare il proprio grado di efficienza.
Perché Io voglio essere presente sulla rete? La domanda giusta è: “Perché la rete mi vuole?”.
Io sono in rete con il mio blog perché la rete mi ha adescato; perché essa mi vuole e mi vuole attivo dentro di sé.

Saluto.

martedì, marzo 01, 2005

III. Non avere qualcosa da dire (segue dal post del 25/02/2005).

Inevitabilmente devo affrontare la penosa assenza di argomenti ed argomentazioni che caratterizzano lo spazio messomi a disposizione dalla rete. Ma come mi è venuta in mente l’idea di creare un blog, se poi non so cosa e per quale motivo scriverci?
Non riesco a capire, in realtà, quale sia il fine di tutto ciò. In effetti, una riflessione, ed eventualmente la comunicazione delle conclusioni di una riflessione per permetterne il confronto, nasce in risposta ad una esigenza problematica o teoreticamente speculativa. Dunque, la mia penuria di idee potrebbe essere dovuta ad una carenza, da parte mia, di spirito critico od alla assenza di stimoli alla riflessione. Insomma, è come dire che sentivo il bisogno di farmi vedere dalla rete, di farmi conoscere, di condividere i miei pensieri, ma poi mi sono accorto di non avere pensieri da condividere con la rete, di non avere nulla da rendergli noto o fargli vedere… che questo accada perché la rete non stimola la mia riflessione?
Non lo so…
Perché non sento il bisogno di comunicare semplicemente i pensieri che quotidianamente affollano e transitano per le stanze della mia mente? Perché non riesco a convincermi che valga la pena scrivere qualcosa, qualsiasi cosa, tanto per riempire il blog?
Forse perché sospetto o temo che i miei pensieri potrebbero non essere interessanti per coloro che dovrebbero leggerne i resoconti sul mio blog? Ma forse spetta ai potenziali lettori stabilire se le mie riflessioni sono interessanti o meno…
Forse perché il recondito desiderio di non essere banale, ed il timore di essere ignorato per la banalità, mi spinge ad essere parsimonioso ed attento nel condividere riflessioni? Sì, certo; ma se il mio blog resta vuoto certamente resto ignorato (ricordate? Io sono quello che scrivo, se non scrivo non esisto…).
Sapete cosa mi sta passando per la testa ora? Mi sta baluginando l’idea che mi manca una domanda… La rete non mi sta facendo domande… Sì, la rete proprio non mi sta facendo domande. Che sia questo il motivo per cui non trovo nulla che valga la pena scrivere sul mio blog? Cioè, poiché la rete non mi pone domande, vuol dire che non è minimamente interessata al mio pensiero, e poiché a priori non è interessata a me, Io non trovo nulla da dirle che penso possa suscitarne l’interesse.
Riassumendo, la situazione dovrebbe essere questa: Io creo un blog perché sento il bisogno di essere presente sulla rete (non voglio ancora tentare una analisi o una specificazione di questa mia pulsione perché penso che mi confonderei ulteriormente, prima voglio tentare di definire la mia relazione con la rete); poi, però, non riesco a trovare nulla da dire alla rete per farle notare la mia presenza, e questo potrebbe essere dovuto al fatto che essa non mi dà stimoli (cioè non mi pone domande); quindi, Io per la rete non esisto perché non le ho ancora detto nulla, ma finché la rete non mi percepisce non può certamente farmi domande.
Non è una situazione tanto semplice da risolvere questa…
In fin dei conti, questa sembra quasi una immagine allegorica: l’individuo non riesce ad interagire con la società e quindi non ne fa parte, ma proprio perché non ne fa parte viene ignorato dalla società e quindi non può interagirci…
Non lo so… Forse dovrei ricalibrare un po’ la mia disposizione nei confronti della rete. Forse, se riuscissi a trovare stimoli diversi da quelli che mi dovrebbe/potrebbe dare la rete, e sviluppassi riflessioni in base a questi “altri” spunti, allora starei comunque scrivendo, e potrebbe accadere che la rete mi noti, il che potrebbe anche non accadere, ma a questo punto non starei più scrivendo per la rete quindi…
No, non funziona, non ha senso. Cercare altri spunti per scrivere qualcosa che possa, eventualmente, stimolare anche la rete vuol dire, di fatto, scrivere anche per essere notato dalla rete, e se non ci riesco esplicitamente e direttamente, perché dovrei riuscirci implicitamente e in via indiretta? Delle due l’una: o gli argomenti li ho e li propongo, o di argomenti non ne ho e sto zitto.
Forse mi sto facendo troppe “giravolte” mentali…
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